Quel veleno chiamato amore
Un monologo nel solco della migliore tradizione beckettiana.
La storia di un uomo che non è più in grado di distinguere tra fare sesso e fare l’amore.
All’interno di una stanza d’albergo, in un continuo oscillare tra realtà e finzione, il protagonista svela i suoi più reconditi pensieri in un torrente di parole mentre attende , animato da propositi di vendetta, la donna che lo ha umiliato e offeso. “Quel veleno chiamato amore”, monologo dalle atmosfere grottesche, è una pièce che, nell’austera semplicità della sua struttura, riesce a far rivivere nello spettatore la suggestione dell’antica tragedia greca, evocata anche dalla figura drammatica dell’unico protagonista, che si rende conto troppo tardi di non essere stato capace di distinguere tra fare all’amore e fare sesso, invaghendosi perdutamente di una donna che, invece, vede in lui solo un cliente.
“Quello del mio personaggio è un continuo oscillare tra realtà e finzione. Affrontando quest’opera mi sono chiesto cosa provi un assassino prima di commettere un delitto, magari mentre mette in atto i preparativi per compiere il suo atto scellerato”.
(Franco Venturini)